Cosa ci si può aspettare da me, stenografa, se non una matita:
uno strumento che, in questa foggia, ha poco più di 200 anni (Conté 1795),
eppure sembra antico
e che da tempo è la nostra arma specifica;
. . . tuttavia nulla vieta di usarla per la scrittura corsiva
o per quant’altro suggerisce la fantasia.
Le parole dolci e belle, invero, meriterebbero
il pastello per una nota allegra di colore
o l’inchiostro indelebile
per mantenerne memoria,
ma per fissare le emozioni più vere
non rinuncio alla matita,
così leggera, immediata, informale
e, a volte, pungente.
Con una matita si può scrivere su un supporto verticale,
si può anche disegnare, marcare il tratto tenace;
con l’aiuto di una gomma, si può cancellare e correggere.
Nell’uso improprio,
le studentesse possono raccogliere le lunghe chiome
fissandoci lo chignon,
o, distrattamente, tamburellarci sul foglio
o mordicchiarne l’estremità.
Inoltre con una matita si può tracciare
un segnaccio o un sorriso simbolico,
scrivere “W la libertà” e “↓ i prepotenti”,
barrare le schede elettorali e indicare “vero” o “falso”
negli esercizi,
sottolineare i concetti importanti e, ancora,
depennare qualche nominativo dall’elenco
o, invece, dedicare “un caro saluto”,
solo agli amici.
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